Articolo di Emanuele Ludovisi, Autore Ospite de La Lampadina
Le cronache ci ripropongono spesso il tema antico del dissidio sotterraneo che può dividere genitori e figli dinanzi alle scelte del loro futuro.
Dissidi che talvolta possono avere persino epiloghi tragici come nel caso accaduto in tempi recenti di un giovane che ha deciso di togliersi la vita per non deludere i genitori cui aveva raccontato la bugia di aver frequentato e concluso un corso universitario.
Il tema delle aspirazioni dei giovani a confronto con le attese dei genitori è questione in realtà antica e mai risolta perché riguarda una delle più difficili problematiche dei rapporti familiari.
Come comportarsi dinanzi ai sogni dei nostri figli soprattutto in un’epoca in cui la società occidentale ha conosciuto per lo più prosperità e crescita delle difese sociali assicurando alle nuove generazioni una sicurezza mai conosciuta nelle epoche precedenti flagellate dalle guerre?
L’aspirazione alla ricerca dell’obiettivo massimo, la ‘felicità’, da parte dei figli dell’era digitale è comprensibile come comprensibili sono le preoccupazioni dei genitori, consapevoli degli amari miraggi della vita.
Eppure questo tema non è appunto affatto nuovo ma con connotati diversi si ripropone ad ogni epoca forse perché non riguarda tanto l’evoluzione dei contesti sociali nel tempo quanto la dinamica stessa delle relazioni familiari.
La lettura delle ‘Memorie’ di Carlo Goldoni conduce proprio a queste riflessioni quando ci rivela le tribolazioni giovanili del grande scrittore alle prese con le aspettative del padre che ne avrebbe voluto fare un grande giurista o un principe del ‘foro’.
Il giorno di Natale del 1722, tre secoli fa, Carlo Goldoni riceveva la tonsura dal cardinale Agostino Cusani per entrare nel collegio Ghisleri di Pavia, sottoponendosi al rito simbolico che doveva segnare il suo ufficiale ingresso nella parte finale degli studi per seguire i corsi universitari di diritto.
Il grande scrittore non terminerà tuttavia i corsi perché due anni dopo verrà espulso dal prestigioso collegio per essere l’autore di una satira (Il Colosso) scritta contro le donne di Pavia colpevoli di aver deciso di non ricevere più nelle loro dimore gli studenti dell’istituzione universitaria.
Ma questa è solo una delle travagliate tappe della giovinezza di Goldoni che lo dovranno condurre al suo straordinario destino letterario. Nel seguirlo tra le pagine della prima parte delle ‘Memorie’, caratterizzate dalla pungente intelligenza della sua scrittura, emerge tutta l’irrequietudine caratteriale unita alla passione per il teatro che lo attanaglia sin dall’adolescenza spingendolo a continui conflitti e pacificazioni con il padre.
Goldoni compone nel 1719, a soli dodici anni, il primo tentativo di commedia dimostrando una vocazione precoce per l’arte teatrale.
Nella primavera 1720 è a Rimini per studiare ‘logica’ presso i domenicani ed è qui che l’anno successivo incontra la compagnia di Florindo de’ Maccheroni che è in città per le rappresentazioni della stagione. Il giovane Goldoni ha solo tredici anni ma evidentemente stanco degli studi di ‘logica’, fatta amicizia con i comici della compagnia teatrale, decide di seguirli viaggiando nella loro barca sino a Chioggia. L’intensa frequentazione degli attori in quei giorni di spensierata fuga gli consente di acquisire le prime preziose conoscenze dell’arte teatrale prima di riunirsi alla madre e al padre che dopo averlo perdonato per la bricconata gli impone di seguirlo a Venezia per riprendere gli studi e quindi il percorso di formazione nel mondo del diritto.
È tuttavia solo un intermezzo perché come abbiamo già visto, solo pochi anni dopo, eccolo di nuovo fare le bizze al collegio Ghisleri da dove verrà cacciato nella primavera del 1725.
Goldoni, senza dimenticare l’arte della scrittura teatrale, continuerà gli studi giuridici sino a laurearsi nel 1731 e divenire avvocato, proprio come voleva il padre, esercitando per un periodo anche la professione con un certo successo.
Da allora tuttavia l’impegno letterario di Goldoni continuerà a crescere allontanandolo sempre di più dal mondo del diritto per immergerlo progressivamente nella sua vocazione dell’arte teatrale.
Il padre muore nel gennaio del 1731, a soli quarantotto anni, pochi mesi prima della sua laurea liberandolo così da ogni condizionamento.
Sarà lo stesso Goldoni a raccontare della sua precoce e incontenibile vocazione descrivendola con queste parole ” …mi ero sentito rapire quasi per una interna insuperabile forza agli studi teatrali sin dalla più tenera giovinezza… “.
L’inconsapevole artefice di questa precoce e profondissima vocazione potrebbe tuttavia essere stato proprio lo stesso padre che quando Goldoni aveva poco più di cinque anni gli fece costruire in casa un teatro di marionette organizzando degli spettacoli che saranno motivo di felicità per il futuro grande scrittore.
E allora… mestiere o vocazione… ?
Forse quando i figli inseguono la felicità non bisognerebbe scoraggiarli troppo ma lasciarli più liberi di seguire il loro estro. Come ci suggerisce la lettura delle ‘Memorie’ goldoniane.
Anche se, da genitori, sappiamo bene che la felicità non si cerca, si può solo incontrare, è insomma un inciampo o piuttosto un regalo inatteso del destino.