Articolo di Elvira Coppola Amabile, Autore ospite de La Lampadina
Nei miei giri curiosando per la città ho trovato un altro monumento preso di mira dallo spirito canzonatorio dei romani.
Piazza della Minerva nel cuore di Roma esibisce un elefantino con un obelisco sulla groppa. Il piccolo obelisco egizio si trovava da tempo nei giardini del Collegio Domenicano adiacente alla chiesa di santa Maria sopra Minerva. La chiesa sorgeva sulle rovine d’un antico tempio dedicato alla dea, come accadeva spesso e non solo a Roma. I luoghi di culto restano, si utilizzano marmi, colonne ma cambiano dei e religioni da venerare. Succede ancora: recentemente Santa Sophia a Istanbul da cristiana è ridiventata musulmana.
L’obelisco, a Roma ce ne sono 9, proveniva dal tempio dedicato al culto di Iside e Serapide tanto di moda presso i romani antichi. Non molto grande, di appena 5 metri, nel 1665 suscitò l’attenzione di Papa Alessandro VII (Fabio Chigi) che decise di utilizzarlo come monumento nella piazza. Occorreva una base d’appoggio.
Numerosi i progetti presentati. Anche Bernini si propose. Tra l’altro aveva già realizzato la spettacolare fontana dei fiumi a Piazza Navona davanti alla chiesa del Borromini.
Monsignor Domenico Paglia domenicano del Collegio adiacente aveva proposto che l’obelisco poggiasse su un piedistallo formato dai colli presenti nello stemma della famiglia Chigi, quella di papa Alessandro VII, e agli angoli quattro cani simboleggianti l’ordine religioso (Domini canes). Una citazione celebrativa che disturbava papa Alessandro. Non voleva esaltare se stesso né i domenicani ma la forza della saggezza e della sapienza evocate da Minerva e dai geroglifici dell’obelisco. L’elefantino proposto da Bernini era perfetto. Su un lato del basamento si legge tuttora la scritta in latino qui tradotta:
“È necessaria una robusta mente per sorreggere una grande sapienza”.
Bernini si era ispirato al “Hipnerotomachia Poliphili”, un romanzo scritto da Francesco Colonna noto per essere il primo libro stampato su carta. Narra di Polifilo mentre sogna un elefantino che trasporta un obelisco.
Il disegno del Bernini era proprio la raffigurazione del sogno descritto nel romanzo in quel momento molto conosciuto e apprezzato.
La scelta preferita da papa Alessandro contrariò molto Monsignor Paglia che volle a tutti i costi imporre una sua ingerenza nel progetto del Bernini. Il papa non seppe opporsi, del resto aveva sottratto l’obelisco al convento. Con la scusa che il vuoto sotto la pancia dell’elefante avrebbe compromesso la solidità del monumento pretese che vi si introducesse un blocco di marmo. Con disappunto lo scultore obbedì e per mascherare la bruttura vi scolpì una gualdrappa. Ma mise in atto una beffa impertinente.
É noto che Bernini aveva un carattere fumantino sapientemente opportunista e dispettoso. Decise quindi di vendicarsi a suo modo. Incaricò Ercole Ferrata l’allievo che eseguì la scultura, di posizionare l’elefante con le terga rivolte verso il convento. Non contento fece realizzare la coda lievemente spostata affinché restasse scoperto il deretano. La testa fu inclinata di modo che la proboscide indicasse un saluto decisamente scurrile.
E i romani? Me li immagino girare attorno al monumento e commentare.
“An vedi l’elefantino! Pare un porco!
Bello grasso er piccoletto!
Un porcino!!!” e via via.. porcino purcino pulcino come la dizione contraendosi finì per chiamarlo.
Così i romani burloni chiamano l’elefantino della Minerva.
IL PULCINO DI ROMA.
Molto interessante e divertente. Il Bernini era veramente dispettoso e in scala molto più grande scolpì uno delle quattro figure rappresentano i Quattro Fiumi delle celebre fontana con una mano aperta e stesa a difesa contro la Chiesa antistante del Borromini come se avesse paura che crollasse. La rivalità fra i due grandi artisti era peraltro nota
Si difatti non ho citato quella della mano protesa come a difendersi dal crollo delka chiesa di Borromini, perche più nota . Anche il Nilo con la mano sugli occhi come per non vedere.