Articolo di Paolo Roberto Imperiali, Autore Ospite de La Lampadina
Il termine è interessante, la prospettiva accattivante, nell’ambito di una relazione affettiva che ha il progresso come obiettivo comune. L’uso sempre più frequente e lo sforzo eroico dell’ingegno umano suggellano l’avvento di un mondo nuovo sempre più popolato da individui affidati a protesi sempre più sofisticate.
L’interfaccia è il punto di incontro tra il biologico e l’artificiale, che nel caso di arti in movimento si chiama meccanismo. È il momento più emozionante dell’incontro di due realtà: paritetiche, equivalenti dove l’“artificiale” porge la mano al “naturale” per portarlo ad un gradino più alto. Il “naturale” si fa convincere, (sedurre) dalla visione di un potere chiaro, senza sforzo, silenzioso, sempre disponibile.
Ma potere di cosa? Di fare, o di sentire? Ma quello che non si fa non lo si sente più, quello che si delega lo si perde. Azione svuotata dal senso emotivo, dal senso della propria capacità, del sentirsi vivi, delle emozioni, della gioia, della tristezza, anch’essa dava il senso di esistere, del piacere del tatto e dell’ascolto.
La delega di una funzione è la delega di un pezzo di vita.
Sostituire la biologia con la meccanica significa sostituire un pezzo vivo con un pezzo morto. Il processo non è reversibile perché quando si perde una funzione si perde la sua memoria, il suo desiderio e la capacità che avevamo di farla: rinunciare alle proprie funzioni è la strada ad un lento suicidio. All’inizio forse solo parziale, lento, camuffato, ma continuo e irrecuperabile.