ABBIAMO OSPITI/ARTE – Arte contemporanea a Roma

Articolo di Maria Grazia Tolomeo, Autore Ospite de La Lampadina

Siamo in un tempo complicato in cui regnano il dubbio, l‘incertezza, l’indeterminazione. La potenza immaginativa degli artisti è un laboratorio di idee che può dare voce a ciò che per noi è inesprimibile. Solo gli artisti infatti possono cambiare la visione del modo e aiutarci ad andare più sicuri verso il futuro.
L’occasione di riflettere sul loro pensiero è particolarmente felice oggi per la contemporanea presenza a Roma di importanti protagonisti dell’arte contemporanea ospitati in alcune delle più prestigiose istituzioni museali. Giulio Paolini, uno degli artisti del gruppo dell’Arte Povera, espone nelle sale dell’Accademia di San Luca una mostra dal titolo “A Come Accademia” proponendo un metodo chiaro, razionale, poetico che emerge dalle sue installazioni, piccole magiche rigorose architetture, nelle quali sono presenti gli elementi costitutivi del lavoro dell’artista. Cornici, cavalletti, modelli raccontano l’origine dell’opera d’arte rimandando a regole certe che aiutino a contrastare la mutabilità continua del tempo. Una Musa, colta nell’attimo di lanciare cornici vuote nello spazio, ci accoglie dalla bandiera issata sul portone dell’Accademia. Di sala in sala emerge il senso della storia, il confronto con l’antico, la riflessione sull’enigma delle immagini, la necessità dell’atto espositivo, lo sguardo finale di colui che guarda. Percorso sempre a rischio fallimento. Paolini invita a servirsi di regole condivise per arrivare a fronteggiare le difficoltà e a prevenirle.
Giuseppe Penone, anche lui proveniente dal gruppo dell’Arte Povera, esprime il suo pensiero nelle sale della magnifica Galleria Borghese, mettendosi a confronto con la scultura di Gian Lorenzo Bernini nella mostra dal titolo “Gesti universali” (prorogata fino al 9 luglio 2023).
Non crea oggetti, forme, decorazioni o abbellimenti ma si immerge nella mutazione continua dovuta al passaggio del tempo, in quella metamorfosi che travolge la natura. Per fare questo deve letteralmente tuffarsi in un mucchio di foglie e respirare con esse. Deve scarnificare gli alberi per ritrovare al loro interno i momenti della crescita ritrovando quella composizione continua che il tempo attua sulle cose e della quale ogni albero conserva le tracce. Usa il tatto, privilegiato rispetto agli altri organi, per scoprire i segreti della metamorfosi. E proprio questo utilizzo delle mani lo fa sentire scultore e lo avvicina a Bernini, vero protagonista di questo museo, in quel meraviglioso lavoro percepibile nella morbidezza della pelle del giovane Ascanio, nel vigore di quella di Enea, nelle pieghe rugose del vecchio Anchise, nella mano rapace con cui Plutone trascina Proserpina nell’Ade. Segno eterno che crea un innesco fossile sui materiali utilizzati.
Penone aveva lasciato, in uno dei suoi lavori iniziali, una sua mano fusa nel bronzo aderente alla corteccia di un albero, impronta che l’albero conserverà per sempre, così da unirsi e conservarsi nella crescita. L’albero-scultura è sceso dal piedistallo per essere un elemento vivo della natura. Penone ci invita ad essere anche noi natura nella sua metamorfosi continua, nell’aderire al cambiamento, al flusso continuo del tempo.
Il più giovane Francesco Vezzoli ha realizzato nelle sale del Palazzo delle Esposizioni una mostra di grande impatto visivo dal titolo “Vita dulcis. Paura e desiderio nell’ Impero Romano”.
Vezzoli ci insegna fin dall’inizio del suo percorso artistico a sfruttare questo tempo complesso, ad abbracciare il flusso delle informazioni e se possibile a resistere alla loro capacità di sconvolgerci. Le immagini si moltiplicano, si rigenerano come le cellule care all’evoluzionismo di Darwin adattandosi ai tempi. Vezzoli utilizza tutte le immagini a sua disposizione proponendo un mondo surreale fatto di antichità e di contemporaneo, di memoria e di invenzione, sfrutta la forza del cinema, della televisione, dei Media, della società dello spettacolo. Nei suoi primi lavori il protagonista è lui stesso che ricama di fronte a personaggi famosi proponendo un lavoro privato ma reale, artigianale, da contrapporre all’invadenza del mondo immateriale. Il suo racconto si allarga in seguito alla società dello spettacolo attraverso l’uso del video, della fotografia per riflettere con irriverenza sui meccanismi del potere, della società, della politica ma anche del trash, del glamour. Nella mostra romana pone un gigantesco confronto tra le sculture del passato recuperate dal Museo Nazionale Romano e le sue che hanno subito metamorfosi adattandosi al tempo odierno e alla forza dei messaggi pubblicitari. Si serve anche del grande cinema nostrano e hollywoodiano per sottolineare la vita al tempo dei romani nell’intento di mostrare il corso e il ricorso della storia. Non si tratta di citazioni ma di osservazioni sulle trasformazioni dovute al passare del tempo su tematiche che hanno da sempre, con diversi approcci, turbato l’opinione pubblica. La leggerezza e l’ironia della sua visione hanno una grande forza comunicativa.

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