Articolo di Gian Carlo Ruggieri, Autore ospite de La Lampadina
Le nubi interagiscono fortemente con il clima. Esse influenzano la struttura dell’atmosfera, intervenendo sui suoi elementi, dalla temperatura e umidità alla circolazione generale dell’aria. E, a sua volta, il clima influenza quando e dove si formeranno i vari tipi di nubi. Quindi, molti processi e molti cicli continui di retroazione possono intervenire sul cambiamento climatico; pertanto è utile suddividere il problema in parti più piccole. Ogni volta che si prova a capire meglio una di tali parti, decresce l’incertezza sull’intero quesito.
Qualche anno fa, si scoprì che le piccole soffici nubi che si formano nella regione degli Alisei, denominate “Trade Cumulus” causano uno dei livelli maggiori di incertezza nei modelli climatici globali. Molti modelli matematici, infatti, presumono che la struttura ed il numero di tali nubi cambi significativamente allorché la temperatura salga, conducendo a possibili cicli continui che potrebbero amplificare o ammortizzare il grado di cambiamento climatico. I modelli che proiettano una forte riduzione dei Trade Cumulus con il crescere delle temperature tendono a prevedere un forte grado di riscaldamento globale.
Nel contempo, si sono esplorati i processi che esistono all’interno dei vari tipi di nubi (“nubi a fasi miste”) allo scopo di migliorare i prodotti dei modelli climatici. In questo ambito, è estremamente interessante ed affascinante osservare come i processi che si verificano a minuscola scala micrometrica possano avere una grande influenza sugli eventi atmosferici e climatici a grande scala.
Le “nubi a fasi miste” contengono sia acqua liquida sia ghiaccio e sono responsabili della gran parte delle precipitazioni nel nostro Pianeta. Negli ultimi anni, è apparso chiaro che esse hanno un ruolo importante nei cambiamenti climatici. Una ricerca durata cinque anni e conclusasi recentemente ha permesso di scoprire nuovi dettagli su come le nubi suddette reagiscono alle alte temperature. I risultati mettono in luce l’urgenza della transizione verso una società a basse emissioni di carbonio.
Mentre, infatti, si riteneva che il riscaldamento dell’atmosfera allontanasse il ghiaccio contenuto nelle nubi, aumentando la quantità di acqua e rendendole più riflettive con un conseguente effetto di raffreddamento atmosferico, recentemente si è scoperto che i modelli climatici sopravvalutano questo risultato. Tale scoperta (Università di Oslo, Norvegia) è stata fatta utilizzando palloni sonda inviati all’interno delle “nubi a fasi miste” ed impiegando dati di telerilevamento satellitare per sondarne la struttura e la composizione.
Gli attuali modelli climatici tendono a rendere più uniforme e meno complesso il mix acqua – ghiaccio nelle “nubi a fasi miste” rispetto alle nubi reali, così producendo una sovrastima della quantità di ghiaccio contenuto in esse. Poiché in tale modellistica le nubi menzionate posseggono più ghiaccio da perdere, allorché la simulazione le riscalda, lo spostamento della riflessività è maggiore rispetto alla nuvolosità reale. Questo significa che i modelli in causa sovrastimano l’effetto smorzante che hanno le nubi summenzionate sul riscaldamento climatico.
Allorché il gruppo di ricercatori inserì nei modelli climatici i dati più realistici delle nubi sottoponendo i modelli a un riscaldamento simulato, fece un’altra importante scoperta: l’incremento nella riflettività delle “nubi a fasi miste” diminuiva significativamente con l’aumento della temperatura.
In definitiva, mentre in relazione ad un basso grado di riscaldamento l’effetto smorzante sulle alte temperature è positivo, allorché il grado di riscaldamento cresce, non è più così. In queste condizioni, la ricerca in tale ambito (una delle piccole parti citate ab initio) dovrà essere indirizzata sul punto al quale il ghiaccio contenuto nelle nubi si sciolga completamente e, quindi, venga azzerato l’effetto di raffreddamento.
Le ricerche e le scoperte su esposte, pertanto, suggeriscono che lasciando inalterate le emissioni di CO2 (e dei gas clima- alteranti) non ci sarà (come in parte già accade) un riscaldamento lineare e graduale dell’atmosfera terrestre, ma – ad un certo momento – un rapido ed accelerato aumento delle temperature: si deve ad ogni costo evitare di raggiungere tale punto di non ritorno.