Articolo di Alessandro Zimatore, Autore ospite de La Lampadina
Usciti dal ristornate, aspettavamo la mezzanotte e una luce richiamava la nostra attenzione: lontano da noi brillava la Tour Eiffel. Lo stupore, la voglia di raggiungere quel luogo illuminato, ci ha spinti a prendere un monopattino e a iniziare il nostro viaggio tra le strade di Parigi. Arrivati a destinazione, il tempo di uno scatto e tutto si è spento, la luce si è dissolta nei nostri occhi e siamo rimasti al buio seduti su una panchina.
Ieri quella stessa luce portava con sé una scritta: “Il mio corpo, la mia scelta”.
Una frase che sintetizza un cambiamento epocale: la Francia è il primo Paese al mondo a garantire il diritto all’aborto nella Costituzione. Ma allo stesso tempo potrebbe essere il messaggio più adatto per descrivere Poor Things, il nuovo film di Yorgos Lanthimos.
È un film complesso, viscerale, surreale. È un film che meglio di ogni campagna di sensibilizzazione riesce nel suo intento: denunciare la violenza sulle donne. È un manifesto di emancipazione, di libertà, di ribellione di fronte alla miserabile pochezza che attanaglia molti uomini, pervasi da istinti possessivi, malati, animaleschi, diabolici. Istinti non innati, frutto della corruzione della propria anima e – come accade nel personaggio interpretato da Willem Dafoe -, dalla fede esclusiva nella scienza, causata da un riconoscimento mancato, quello del padre.
La protagonista viene privata della felicità e decide di togliersi la vita. Questo gesto verrà poi giustificato dal suo consorte come il peso della gravidanza, quando l’unico peso che non riusciva a sopportare era la mania di possesso di quell’uomo.
Un gesto estremo che non sortisce l’effetto sperato, perché il suo corpo viene rivitalizzato da un medico, che le impianterà – a sua insaputa – il cervello del bambino che portava in grembo. Questo cervello crescerà nel corpo di una donna adulta, sulla quale l’artefice della resurrezione vorrà imporre regole e controllare le emozioni. Ma si sa, la voglia di andare incontro alla vita e alla verità sono più forti di ogni forma di controllo. Con il passare del tempo conoscerà il suo corpo, e si scontrerà con le contraddizioni del mondo e le ingiustizie dello stesso. Conoscerà i colori e tutto prenderà forma. Vedrà le sfumature della vita e abbandonerà la sua vecchia visione della realtà, dove tutto o è bianco o è nero e dove perfino le riprese sembrano concentrarsi su determinate angolature.
Alla fine, dopo aver fatto esperienza del reale, senza una guida, nella fluidità delle convenzioni che oramai sembrano caratterizzare la nostra epoca, decide di diventare medico, proprio come l’unico che in lei si era riconosciuto, che nonostante tutto, aveva provato ad essere quello che gli era sempre mancato: un padre. Risponderà a una chiamata, «perché la speranza è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere».
Un susseguirsi di immagini surreali, in bilico tra la realtà e la fantascienza, ci ricordano che siamo tutti, anche chi ancora non è venuto al mondo, delle povere creature.
Complimenti per l’ ottima recensione, che spiega perfettamente l’ essenza di questo racconto, strano all’ apparenza, ma oltre che originale, profondo e vero
Grazie. Concordo pienamente con lei sul fatto che sia un film originale, profondo e vero.