ABBIAMO OSPITI – STORIA/LETTERATURA: Un viaggio per ricordare

Articolo di Filippo Gammarelli – Autore Ospite de La Lampadina

Rivivere i luoghi di cui hai letto e ne hai sentito parlare per tutta la vita è un’emozione che ti prende nel profondo del cuore…  è successo a me questa estate in occasione di un viaggio in Russia, quei luoghi, dove in un inferno di neve, gelo e paura di una morte imminente, i Nostri furono costretti ad una grande ritirata.

Ero a Nikolajewka nel passato ottobre, con un gruppo di amici (il coro Malga Roma dell’ANA di Roma) a ripercorrere i luoghi dove si è consumata un’immane tragedia e forse, proprio in quelle zone, dove Rigoni Stern (“Il sergente nella neve”) descrive un episodio che ci fa capire come l’amore per il prossimo sia grande.
“Compresi gli uomini del tenente Danda saremo in tutto una ventina. Che facciamo qui da soli? Non abbiamo quasi più munizioni. Abbiamo perso il collegamento con il capitano. Non abbiamo ordini. Se avessimo almeno munizioni! Ma sento anche che ho fame, e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. – Mniè khocetsia iestij, – dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fu­cile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata, – Spaziba, – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta, – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me come per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco….

In Ottobre la temperatura è ancora tiepida e a girovagare per quei campi, senti qualcosa nell’aria, un brivido di ansia, il dolore per quelli che non sono mai tornati. Pensi anche ai più fortunati che invece hanno potuto riabbracciare le loro famiglie ma che non possono avere dimenticato le sofferenze, le paure, l’odio e l’amore provati durante la ritirata di Russia. Ricordo che da bambino mi faceva una grande impressione quel nostro inquilino del palazzo dove abitavamo in Prati che trascinava penosamente una gamba e alle mie domande ingenue, i miei mi rispondevano sottovoce: “Vedi, quel Signore zoppica perché ha un piede che non funziona più, se lo è congelato durante la ritirata di Russia.”

Nell’esplorare la zona, abbiamo superato il Don che separava le truppe italiane e tedesche da quelle russe. Quel giorno era calmo, placido, scorreva lentamente, a tratti sembrava un lago immobile. Dal punto dove eravamo fino a Rostov, dove il fiume si disperde nel mare, la pendenza è minima e piena di anse, ma quando è primavera e c’è il disgelo, quel placido Don diventa una furia e, dice la gente di lì che niente può resistere agli enormi blocchi di ghiaccio che scendono verso il mare. E’ la ragione per la quale ci sono pochi ponti e, incredibile, quelli che ci sono, per la maggior parte sono su cassoni galleggianti e vengono smontati a fine autunno e rimontati a fine primavera.

Emozionante essere, in mezzo alla steppa consapevoli che noi italiani ci siamo comportati tutto sommato bene e molti dei nostri soldati sono stati aiutati a sopravvivere proprio grazie alle donne di quei luoghi di confine tra Russia e Ucraina che non amavano Stalin.

Tanti pensieri mi sono passati per la mente, il ricordo anche di molti dei nostri Ufficiali superiori, quando ero allievo ufficiale alla Scuola Militare Alpina di Aosta e molti erano reduci della Russia. I loro racconti, le loro paure e spesso qualche rimbrotto pesante quando ci lamentavamo del freddo, loro, esposti al vero freddo russo con temperature che di notte raggiungevano i 40 sotto zero, il turbinio del vento dove trovare un’ isba come fece Rigoni Stern era veramente questione di vita o di morte.

Travolti da tante considerazioni e in un attimo di silenzioso riserbo ci è venuto naturale, insieme agli amici coristi intonare con un filo di voce, Stelutis Alpinis[ca_audio url=”https://www.lalampadina.net/magazine/wp-content/uploads/2013/02/Stelutis-Alpinis-Coro-della-SAT.mp3″ width=”550″ height=”27″ css_class=”codeart-google-mp3-player” autoplay=”false”]  in memoria di quel terribile periodo e  di coloro che  sono rimasti là, suscitando  grande emozione in chi ci ascoltava.

Filippo Gammarelli

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3 Commenti
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Manù Selvatico Estense
2 Marzo 2013 18:10

Bellissimo articolo che mi ha molto commossa perché mio padre ha fatto, come Alpino, la Campagna di Russia ed aveva ai suoi ordini, il Sergente Mario Rigoni Stern! Uomo eccezionale che ho ben conosciuto, anche perché viveva ad Asiago e noi, essendo spessissimo Cortinesi, avevamo la gioia di vederlo spesso! Dopo la sua morte sono rimasta in contatto con sua moglie, ma adesso non ho più notizie……Comunque grazie di aver scritto quelle bellissime cose su Mario e grazie anche per avermi permesso di ricordare!

Reply to  Manù Selvatico Estense
14 Marzo 2013 16:51

E’ stata un bellissima sorpresa vedere che il mio articolo ha sucitato l’interesse, e se capisco bene, anche una certa commozione di Manù Selvatico Estense, che non ho il piacere di conoscere, ma il cui commento sul mio articolo ho letto con con grandissimo interesse.
Io purtroppo non ho mai conosciuto Rigorni Stern, se non da immagini di repertorio in TV e provo una certa invidia versò Manù. Rigoni Stern è stato un personaggio unico nel suo genere, non solo come scrittore (Il Sergente nella neve è un vero capolavoro letterario e in certi momenti di alta poesia), ma come uomo della Montagna, come Alpino e come appassionato della Natura, di cui aveva il massimo rispetto. Recentemente sto leggendo un libro di Paolo Rumiz, strano, “la leggenda dei Monti naviganti”, in cui l’Auotre passa una notte ospite di Rigoni Stern, e da cui si evince l’ammirazione di Rumiz per quello straordinario personaggio che è stato il nostro Sergente nella Neve.
Grazie a tutta la redazione della Lampadina per avere pubblicato il mio articolo, che ho veramente scritto di getto, ispirato proprio dall’atmosfera che si respira visitando quei luoghi bellissimi e tragici insieme.

Un caro saluto

Reply to  Isabella Confortini Hall
14 Marzo 2013 16:58

Da come parla di Rigoni Stern nell’articolo, pensavo che Lei, Filippo, l’avesse conosciuto!
In compenso mi tocca profondamente il fatto che abbia captato la mia commozione pur non conoscendomi!
Quando Mario Rigoni Stern parlava di mio padre diceva “g’era il mio capetano!” In dialetto veneto/asiaghese! Infatti Mario é andato in Russia
volontario a meno di 18 anni (imbrogliando sulla sua età) ed ha seguito il “suo capitano”, volontario anche lui, fino al momento in cui é stato fatto prigioniero dai russi.
Insomma, tutta una vita e tutto un ricordo dei racconti paterno/Rigoneschi!
Quando vengo a Roma mi piacerebbe conoscerLa e, cercando nelle foto della Russia, forse trovero’ anche quella dei due Alpini!
Manù