STORIA: Bronte, non solo pistacchi

Qualche giorno fa abbiamo avuto la riunione mensile della redazione de La Lampadina. Dopo aver “lavorato” ci siamo seduti a tavola a gustare i manicaretti apprestatici da Lalli, innaffiati da un buon rosso, e ci siamo messi a conversare del più e del meno.
Uno dei redattori – non ricordo più chi – parlando di Sicilia ci raccontava di una sua visita ad amici inglesi, a Bronte, in una tenuta che apparteneva loro fin dai tempi dell’ammiraglio Nelson.
Ho chiesto se erano al corrente che proprio quel possedimento era stato causa di uno degli episodi più oscuri nella storia della spedizione dei Mille.
Poiché nessuno ne sapeva nulla mi è stato proposto di scrivere un pezzo per il successivo numero de La Lampadina.
Ed eccomi qui.
Ferdinando IV di Borbone Re di Napoli e di Sicilia (che assunse poi il titolo di Ferdinando I Re delle due Sicilie) a titolo di ricompensa per l’aiuto fornito dalla marina Inglese nella repressione della Repubblica Partenopea e nella restaurazione del Regno, concesse nel 1799 all’Ammiraglio Nelson il titolo nobiliare di Duca di Bronte e una vasta proprietà nella zona (la Ducea di Bronte.)
Nel 1860, Garibaldi, alla testa dei suoi Mille e con i finanziamenti offerti dai suoi “sponsor” britannici, sbarcò in Sicilia e attaccò il Regno delle Due Sicilie di Francesco II di Borbone. Per vincere la guerra adottò una strategia su due fronti: con i soldi britannici corruppe i generali dell’esercito borbonico (ahimè, la corruzione è sempre stata un male endemico nel nostro Paese) e ricercò il consenso e l’aiuto della popolazione rurale promettendo la redistribuzione delle terre possedute dai latifondisti. (Pochi sanno, perché a scuola non se ne parla, che Garibaldi aveva idee “socialiste”; nell’Italia post-unitaria si definì tale nel 1880).
Questa strategia, come noto, risultò vincente. I generali borbonici si ritirarono in pratica senza combattere e la popolazione diede il sostegno logistico necessario.
Ma ci fu qualche inconveniente! I contadini di Bronte presero TROPPO sul serio le promesse di redistribuzione delle terre e si ribellarono ai “padroni”, che in questo caso erano i ….”finanziatori” britannici della spedizione! La ribellione fu piuttosto cruenta e provocò sedici vittime.
I proprietari della Ducea (gli eredi di Nelson) non se ne stettero con le mani in mano ma attraverso il console britannico sollecitarono Garibaldi a reprimere la rivolta.
Garibaldi risolse rapidamente la situazione: mandò a Bronte il suo fedele collaboratore Nino Bixio il quale domò la rivolta, impose una tassa a tutti i cittadini, organizzò un processo durato ben …quattro ore e condannò a morte per fucilazione cinque persone, tra le quali anche…. Lo scemo del paese. Alcuni aneddoti sul comportamento di Bixio in questa circostanza mostrano un tale cinismo e una tale insensibilità da far dubitare che siano veramente accaduti.
Poiché quest’operazione mal si conciliava con l’immagine di Eroe dei due mondi costruita attorno a Garibaldi e con l’epopea della “Spedizione dei Mille”, venne “silenziata”.
Il “silenzio” è durato abbastanza fitto fino ai giorni nostri, anche se nel 1882 Giovanni Verga lo descrisse nella novella “Libertà” e nel 1972, il regista Florestano Vancini ne ha tratto un film: “Bronte, cronaca di un massacro”.

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Testi Mario
29 Marzo 2013 12:37

Articolo molto interessante perche mette i luce un avvenimento storico sconosciuto ma di assoluto rilievo in quanto evidenzia che gli uomini anche se animati da ideali positivi una volta al potere davanti ad una legittima contestazione sono capaci di azioni ignobili.