Articolo di Alessandro di Bagno – Autore Ospite de La Lampadina
Vi è mai capitato di incontrare un Eroe o un Santo? No? Noi abbiamo avuto questa fortuna. Viviamo a Houston, in Texas, da oltre trenta anni, dove io lavoravo per la Dalmine, produttrice di tubi. Un giorno del 1997 mi si è presentato in ufficio un giovane svizzero, non ancora trentenne, per chiedermi se gli potevo donare dei tubi vecchi e inutilizzati che avevamo nel nostro magazzino. Mi ha spiegato che li voleva usare per fabbricare ponti pedonali in Paesi del Terzo Mondo. Ho trovato la storia della sua vita assolutamente affascinante e mi permetto di condividerla con voi.
Nel 1987 Toni Ruttimann, nato a Pontresina, aveva diciannove anni e aveva appena finito il liceo, quando ha letto sui giornali la notizia di un tremendo terremoto in Ecuador ed è partito per aiutare. Si è subito reso conto che uno dei problemi principali degli abitanti dei villaggi colpiti era l’attraversamento dei fiumi. La gente doveva arrangiarsi per portare i bambini a scuola, i malati agli ospedali, i prodotti al mercato, rischiando la vita tutti i giorni attraversando i fiumi su ponti precari fatti di corde, o con barconi sgangherati. Toni si commosse e decise di fare qualcosa per aiutarli. Si ingegnò per costruire, in sei mesi, il suo primo ponte sospeso di una trentina di metri di lunghezza copiando il sistema usato per le condotte petrolifere. Quattro tubi di acciaio saldati insieme a forma di A quadrata per costituire un pilone su ognuno dei due lati del fiume, collegati tra loro da funi di acciaio da cui sono sospese assi di legno che fungono da passerella. Una tecnologia semplice ma molto efficace, che permette il passaggio di pedoni, animali e biciclette in tutta sicurezza. Poi si mise a cercare altri vecchi tubi e funi di acciaio per costruire altri ponti. In due anni riuscì a costruirne altri tre. E così poco a poco la notizia si è sparsa. I villaggi lo chiamavano e Toni andava in giro per verificare le esigenze, per misurare le distanze (spesso a nuoto tenendo in bocca un pezzo di corda) per cercare tubi, funi e spazi dove fare la prefabbricazione. Anche fuori dall’Ecuador.
Il prestigioso MIT di Boston lo ha aiutato a creare un software che gli consente di gestire tutte le informazioni necessarie alla progettazione dei ponti dal suo laptop, cosa che oggi gli permette di costruire 40/45 ponti all’anno, quasi uno alla settimana, molti lunghi più di 150 metri e uno addirittura di 264 metri, in 6 cantieri diversi. Il Politecnico di Milano sta cercando da anni di dargli una Laurea Honoris Causa, ma lui la rifiuta sostenendo che gli atti di altruismo si fanno soltanto perché richiesti dal cuore. E non smette di lavorare a pieno ritmo: ad oggi, 677 ponti completati, altri 32 in fabbricazione e oltre 100 sulla carta, con località già individuate in Vietnam, Cambogia, Birmania, Laos, Ecuador, Messico. I suoi aiutanti (un assistente e un saldatore in ogni cantiere) gli inviano i dati necessari e lui, dovunque nel mondo si trovi, elabora il ponte in funzione dei tubi e cavi disponibili in loco e in poche ore manda indietro al cantiere il progetto completo, pronto per la fabbricazione. Ed intorno è riuscito a crearsi una catena di solidarietà che non ha eguali: chi gli fornisce gratuitamente i tubi, chi glieli trasporta in loco. Le funivie svizzere gli donano tutti i cavi usati, sostituiti per ragioni di sicurezza, ma che hanno ancora un 96% di vita utile. I cittadini della sua Pontresina volontariamente alimentano un fondo che serve a pagare i suoi spostamenti e le sue poche spese. Le popolazioni beneficiarie dei ponti provvedono a ritirare i prefabbricati dal cantiere, spesso a migliaia di chilometri di distanza, giorni e giorni di viaggio su camioncini traballanti su strade praticamente inesistenti. E l’ultimo tratto a spalle, fino alle rive del fiume.
Il sistema di Toni richiede che tutto il villaggio, cioè i beneficiari stessi, contribuiscano alla costruzione del ponte. Aver faticato e procurato i materiali poveri (assi, macigni, cemento) fa sì che loro sentano il Ponte come un loro proprio bene, un qualcosa di voluto, amato, sudato e non un oggetto che è stato loro assegnato da uno Stato spesso assente. In questo modo lo rispettano e gli fanno tutta la manutenzione necessaria senza aspettare che ci pensi “qualcuno”. Perché il ponte gli appartiene e sarà lì per sempre, se ne hanno cura. Tutti i suoi ponti pedonali sono ancora in funzione e oltre un milione di persone ogni giorno li utilizzano per i loro spostamenti in tutta sicurezza.
Siamo andati a Milano lo scorso Marzo, avendo saputo che Toni faceva una presentazione al Politecnico per spiegare la semplicità del suo sistema e ispirare altri giovani. Alla fine della sua presentazione lo abbiamo riaccompagnato alla stazione e siamo rimasti sorpresi notando che Toni viaggia portando con se soltanto uno zaino con dentro tutti i suoi possedimenti terreni. Ci ha spiegato con la sua semplicità e umorismo che gli abiti da lavoro non li deve trasportare perché ha un jeans ed una maglietta in ogni cantiere in giro per il mondo!
Per il suo lavoro non percepisce alcun compenso, non appartiene a nessuna organizzazione, non ha casa, non ha fissa dimora, da 25 anni vive passando da un cantiere all’altro, ospitato dagli abitanti dei villaggi che lui aiuta, cambiando la vita a tante persone che grazie a lui possono compiere le loro attività quotidiane senza più rischiare ogni giorno la propria vita. Se Toni non è un Santo…….
Cercate su Google: Toni El Suizo o Toni Ruttimann e le foto dei suoi bellissimi ponti.
Alessandro di Bagno
Affascinante storia! Quasi incredibile……
Buon giorno Alessandro, il Suo articolo molto piacevole, ha riscosso un vastissimo consenso da parte di tutti noi della redazione per la sua scorrevolezza e per la statura del personaggio. Mi ricorda un bellissimo libro di Greg Mortenson le tre tazze di the, lo ha letto?
che bella storia!…mi si è aperto davvero il cuore!….evviva Tony!… e anche Alessandro che ce l’ha raccontata….
Bravo Alex,
oltre che vendere tubi vedo che sai anche scrivere degli articoli interessanti e piacevoli alla lettura.
Quella di Tony Ruttiman non me la sapevo…
Congratulazioni ed un abbraccione,
ARMANDO.
Bravissimo Alex, bellissimo articolo e bellissima storia, incredibile
Ottimo articolo. Vorrei saperne di più sui ponti. Per esempio, come sono ancorati i pilastri e profonde le loro fondazioni e se sono controventati. Cordialissimi saluti.
A.B.
La ringrazio molto del commento. Purtroppo non sono un tecnico di ponti, ma so dai racconti di Tony che la profondità delle fondazioni varia in funzione della campata del ponte. Comunque non sono mai molto profondi, da quello che ho visfo nelle sue foto si tratta di un metro e mezzo più o meno. Gli ancoraggi sono costituiti da colate di cemento sui lati dei piloni, in cui vengono poi immersi i cavi, ma di nuovo non le saprei dire di più. Forse qualche domanda alla facoltà di ingegneria del Politecnico di Milano le potrebbe fornire delle risposte. Mi spiace non poter essere più preciso.
Bravo Alessandro. Bell’articolo e bellissima persona.