Lo conosciamo tutti, o pensiamo di conoscerlo…
Willm Skaksp, WilliamShakespe, Wm Shakspe, William Shakespere, Willm Shakespere e William Shakspeare. Mai fu da lui usato il nome con cui lo citiamo.
Di lui ci restano tre ritratti fra cui quello di Chances, messo all’asta dal secondo duca di Buckingham insieme a tutta la sua proprietà di Stowe conseguenza di uno spaventoso tracollo economico.
Qui un signore con pochissimi capelli, un unico orecchino al lobo sinistro, vestito di nero. L’unicità dell’orecchino, in un’epoca in cui gli uomini si adornavano di molti gioielli per lo più cuciti sui vestiti, ci parla di una certa eccentricità.
L’agiatezza si deduce poi dal colore dell’abito: il tingere di nero le stoffe richiedeva, infatti, una grande quantità di costosa tintura per coprire il beige originale. Solo la conquista di una patente reale concessa da re Giacomo, sotto il cui regno ha composto la maggior parte delle sue opere, gli permetterà di indossare i quattro metri e mezzo di tessuto scarlatto fornito direttamente dalla corona. I tessuti usati per il vestiario erano allora sottoposti a regole ferree: un farsetto di raso (ma non un abito) era permesso solo a chi aveva un reddito di 20 sterline annue.
La vastità della sua conoscenza di leggi, di agricoltura, di paesi stranieri, di mare, di commedie straniere all’epoca non tradotte, il suo parlare di grandi amori eterosessuali e omosessuali (dedica i suoi sonetti “al bel H.W”), ha fatto pensare che l’enorme mole della sua opera fosse frutto di diversi talenti letterari dell’epoca, fra cui Bacone ma anche una donna: la contessa di Pembroke.
Di colui che ha ampliato la lingua inglese con neologismi e nuovi modi di dire oggi in uso, non rimane nemmeno un manoscritto. Solo sei firme autografe nel testamento in cui, alla moglie dalla quale ha avuto tre figli e cui sempre ha inviato da Londra tutti i suoi guadagni, lascia “il secondo miglior letto”. Il primo era quello riservato agli ospiti.
Così è se vi pare.