Articolo di Giselda Zaccaro Fabbri – Autore Ospite de La Lampadina
Non so come la pensiate a proposito dei nostri due marò trattenuti in India in attesa di processo per l’accusa d’aver sparato e ucciso due pescatori del Kerala scambiati per pirati ma posso dirvi come la penso io, non a proposito dei marò, ma a proposito dell’India.
Trenta e passa anni fa infatti sono stata espatriata in quel Paese, per tre anni a Bombay, e per tanti anni dopo il ritorno in Patria ho continuato a pensare di averlo conosciuto bene il Sub Continente. Anche perché ho continuato a tornarci quasi ogni anno assecondando un richiamo irresistibile di spiritualità e di filosofia di vita.
Quando partii nell’80 con tre pargoletti al seguito, l’ultimo dei quali ancora in fasce, avevo il problema dell’acqua potabile che non esisteva e della frutta e verdura che andava preventivamente lavata nel permanganato per essere commestibile. Avevo il problema della casa invasa dagli scarafaggi nonostante le severissime disinfestazioni trimestrali e avevo il problema della macchina perché per la consegna di una FIAT 1100D, modello anni cinquanta, Made in India c’era un tempo di attesa di minimo tre anni. E Bombay non è una città dove giri a piedi con i suoi 15 milioni di abitanti senza contare quelli che vivono per strada che sono perlomeno altrettanti.
Ovviamente niente metropolitane, autobus pochi e impraticabili, solo tanti taxi scassati fortunatamente a buon prezzo.
Dimenticavo, il latte veniva ancora distribuito con la tessera come nel dopoguerra dove per guerra s’intende quella mondiale.
Eppure per questo destino si partiva in maniera abbastanza garibaldina; ti davano da leggere i testi sacri come “Siddartha” di H. Hesse e “Stanotte la libertà” di Lapierre e Collins e, nell’80, quasi in mio onore, Mondadori pubblicò “La calma dorata” ovvero le memorie di una nobildonna inglese dell’ottocento espresse col supporto di una ricca serie di immagini preziose della Delhi imperiale.
E il messaggio era quello: vai, goditi questa fortuna che t’è capitata perché sei stata privilegiata dal destino; una vita splendidamente serena ti attende, non hai che da vivertela servita di tutto punto fino all’inverosimile.
Naturalmente era tutta una balla per le ragioni che ho appena elencato ma qualcosa c’era in India allora che ti faceva sentire come ne fosse valsa la pena.
E questo qualche cosa era semplicemente la capacità degli indiani di credere che i valori dello spirito valgono più di qualsiasi altro valore. Nonostante la miseria, a dir poco, dilagante.
Quando Mira Nair se ne uscì nell’85 con il suo celebre film “Salam Bombay” fui molto contrariata dal successo che ebbe. Mi sembrava infatti che l’allora giovane regista indiana cresciuta in America soffrisse di complessi d’inferiorità nei confronti del suo Paese adottivo per la scarsa criminalità della suo Paese d’origine e di conseguenza facesse un quadro di una Bombay malavitosa assolutamente falso pur di far valere la tesi strampalata che: criminalità uguale emancipazione.
Molti anni sono passati da allora. L’acqua potabile arriva ora ai rubinetti e se ti vuoi comprare l’automobile hai solo l’imbarazzo della scelta. Persino la criminalità sognata da Mira Nair è diventata una realtà. “The Economist” di qualche mese fa si chiedeva se l’India non fosse già da considerare una prossima superpotenza dello scacchiere mondiale e, con la massima noncuranza, la futura superpotenza da diciotto mesi trattiene in stato di fermo i nostri due marò prendendosi gioco di noi come se fossimo, nonostante Sonia, l’ultima delle repubbliche delle banane.
Naturalmente il “rinnovamento” dell’India non è avvenuto a costo zero. Il prezzo enorme che il Paese ha pagato è la perdita di molta della spiritualità che lo contraddistingueva.
Le vacche hanno smesso di brucare indisturbate i pochi fili d’erba secca delle aiole spartitraffico, niente più trattamento di riguardo per loro.
Se ne facciano una ragione i nostri due marò: non sono mica prigionieri di un Paese qualunque ma di una prossima superpotenza alla quale bisogna dare del Lei.
Giselda Zaccaro Fabbri
L’India, come ogni altro paese, ha il suo fascino, le sue contraddizioni e i suoi aspetti negativi.
Chi è cresciuto sognando le epopee salgariane, come me, subisce in modo particolare il fascino di quel mondo.
Ma il caso dei nostri marò è un problema italiano, non dell’India.
E’ il nostro paese che non riesce a far rispettare i trattati internazionali. E’ il nostro paese che non ha più un peso specifico internazionale o che non lo utilizza. E’ il nostro paese che non crea una crescente e costante pressione mediatica, economica e diplomatica, sia propria che dei propri alleati, nei confronti dell’India.
E quando dico “il nostro paese” intendo i nostri governanti. Tutti.
I governanti indiani, ma lo farebbero anche quelli del Belucistan di Sotto, si approfittano semplicemente dell’inconsistenza della controparte per utilizzare l’incidente in funzione delle loro necessità di politica interna.
L’unica nostra reale valenza attuale è, nonostante la crisi, ancora quella economica, e allora usiamo questa.
Oppure negoziamo, disposti anche a cedere a qualsiasi ricatto, ma riportiamo i nostri due militari, che hanno semplicemente fatto quello per cui erano stati comandati, a casa
Ferruccio Kustermann Kindelan
L’India è la più grande “democrazia” del mondo, ma quando sei lì è proprio in concetto di “democrazia” che resta un pò difficile da capire. Suggerisco un libro che vinse il Booker Price nel 2008 dello scrittore Aravid Adiga :” La tigre bianca”.
Testimonianza sintetica,incisiva e documentata.
Ma Zaccaro ha altri luoghi/eperienze da raccontare ?
Speriamo di si !