Articolo di Serenella Grassi Giorgino – Autore Ospite de La Lampadina.
L’avvento del consumismo ha modificato la nostra vita e ancor di più la nostra tavola.
La nostra alimentazione ha subito un cambiamento radicale e, fra i tanti alimenti dimenticati, il “quinto quarto” è sicuramente quello che ha fatto la peggior fine godendo, probabilmente, della peggior reputazione.
Ma il “QUINTO QUARTO” esiste e racconta di una tradizione secolare avversa allo spreco, ricca di profumi e di piatti gustosissimi.
Cos’è il “quinto quarto”?
Dopo la macellazione bovina, ovina, equina, suina e caprina, data la taglia dell’animale, si suole dividere la carcassa in “ mezzene” e queste ultime in “quarti“.
Quindi l’animale si scompone in quattro quarti. Viene quindi chiamato “quinto quarto” l’insieme dei componenti poveri del macellato: testa, interiora, coda e organi.
Tutti gli animali hanno un “quinto quarto” ma il suino ne ha addirittura un sesto, pregiatissimo ed introvabile: il “sanguinaccio”.
Nel nostro Salento, oltre alla versione salata del “sanguinaccio”, spesso arricchito nell’insacco da pezzetti di cervello, se ne preparava una versione dolce, “callume” che veniva consumata, per tradizione, durante il Carnevale, il periodo più freddo dell’anno. Questo piatto era, infatti, altamente calorico e nutriente.
La storia ci racconta che i “quattro quarti” venivano utilizzati per la cucina dei benestanti mentre il “quinto quarto” andava a sfamare la povera gente che, con fantasia e capacità, riusciva a farne piatti gustosissimi.
Il profumo del ”quinto quarto” occupa un posto d’onore nei ricordi gastronomici della mia infanzia.
Erano tante le inebrianti e caratteristiche botteghe nel centro storico di Lecce dove si potevano gustare i famosi “ gnummareddi” di trippa in umido con le patate, li “turcinieddi” di interiora di agnello arrostiti, la “Cervella fritta”, “lu fegatu rustutu cu la zippa”, “lu rugnone a fricassea”, le “sagne ncannulate cu la matriata (ileo degli animali da latte ancora pregno del chino), “lu musu allesso” e la “ventriceddha“ e accompagnare il tutto con un buon bicchiere di “mieru” rosso “stumpatu” a casa “cu lu Negrumaru e la Malvasia”; botteghe per soli uomini, frequentate da poveracci, ma tanto ricche di tradizione culinaria.
Alcune culture rigettano l’uso delle frattaglie come cibo, in altre al contrario, rappresentano un pasto da gourmet come in Francia il foie gras, le animelle ed i paté.
In Italia?
Che dirvi, noi italiani siamo un popolo strano, cresciuti con il motto che “l’erba del vicino è sempre la più verde“ e scimmiottando l’altrui fare, spesso prendiamo gli esempi peggiori. Così ci ritroviamo oggi, spesso, a mangiare salsicce insaccate in budella sintetiche, sicuramente meno costose.
Qualche giorno fa leggevo che si sta attribuendo la colpa di parte dell’aumento della temperatura terrestre allo sterco degli animali di allevamento poiché aumentati in maniera esponenziale.
Chissà, se non avessimo dimenticato il “ quinto quarto” sostituendolo con “la bistecca” e “la fettina” forse … potremmo stare meglio!
Serenella Grassi Giorgino
….solo uno dei tanti casi di benessere che si trasforma inesorabilmente in mal’essere…
Saluti.
Sono contento di essere diventato vegetariano !!! Buon Natale
Stefano Gentile