Articolo di Gerardo Mariano Rocco di Torrepadula – Autore Ospite de La Lampadina.
Una città e i suoi abitanti, unicità a volte difficili da comprendere per complesse ragioni storiche e sociologiche.
E’ assai facile farsi ammaliare dalla giovialità dei modi, comunemente attribuita a noi napoletani. E’ empiricamente verificabile il calore trasmesso in ogni atteggiamento tipico partenopeo.
Eppure sono convinto che, al di là degli stereotipi di cui siamo saturi, non vi è maggior nichilistica rassegnazione che tra gli abitanti di una delle più belle città del Pianeta.
Me ne devo rendere conto ogni volta che annoto la nostra predisposizione a lamentarci piuttosto che a risolvere i problemi.
Un esempio? La drammatica, invereconda emergenza rifiuti. Tutti, giustamente, ci vergogniamo di questa ignominiosa piaga, eppure difficilmente trovi chi ha la premura di separare i rifiuti di plastica dagli organici. E se domandi “scusa che ti costa separare la plastica dal vetro?” la risposta è: “A cosa serve se lo faccio solo io?”. E poi giù di lì con argomentazioni preconfezionate: “Tanto non sono questi i rifiuti che inquinano, ma quelli che mandano dal Nord” (a qualche nostro conterraneo felice di accoglierli, aggiungerei io); e così via dicendo, sino a rimettere in discussione i massimi sistemi, l’Unità d’Italia e la Spedizione dei Mille.
Sì, perché tanta è la nostra attitudine a cercare altrove le nostre responsabilità che abbiamo imparato ad individuare l’origine e causa di ogni male nella caduta del Regno delle Due Sicilie.
Premetto che il mio affetto verso la Casa di Borbone ed il Regno Duosiciliano è cementato da una tradizione familiare che difficilmente può essere obliterata. Ciò non toglie che vedere solo negli ultimi anni un improvviso sentimento meridionalista, monarchico e borbonico, mi sa tanto di un inane tentativo di risposta al fenomeno del leghismo al Nord.
Così vedi le immagini di una partita di calcio colorate dallo sventolio di bandiere bianche con lo stemma della Real Casa di Borbone, che secondo chi le issa sarebbero dovute essere quelle del Regno delle Due Sicilie, ignorando che l’ultima bandiera che sventolava su Gaeta, Messina e Civitella del Tronto era il Tricolore con al centro lo stemma della Casa di Borbone.
Così ti rendi conto che persino il tifo per una squadra di calcio travalica se stesso per prendere la forma di un’impropria divinizzazione che segna l’indice del collasso valoriale in cui siamo precipitati noi partenopei.
Una delle frasi più ricorrenti che ascoltiamo da qualche anno a questa parte è che “non si arriva a fine mese”. Ma a Napoli questo non è un problema. Il problema è far arrivare al Presidente de Laurentis la propria profetica opinione sugli acquisti da fare per rinforzare la difesa. “Non capisci niente – fa gentilmente notare un Solone che partecipa all’aulico dibattito – de Laurentis deve comprare un fantasista”. E così, tra offese personali, trascorre al bar la giornata chi si sarebbe dovuto preoccupare di “arrivare a fine mese”.
Ricordo un episodio, era settembre, San Gennaro – tra le cui virtù va annoverato il fatto che ancora non si sia disgustato di noi – ripeteva, tra le preghiere del popolo, la prodigiosa liquefazione del sangue del martirio. Un giornalista tentava di raccogliere le emozioni di alcune tra le tante persone affollate fuori il Duomo richiamate dal Miracolo del Santo. Intercetta un uomo sulla sessantina: “Lei è emozionato per il Miracolo di San Gennaro?” e questi a lui “A Napoli solo Maradona ha fatto i miracoli!”
Da napoletano fiero della storia millenaria della propria terra, vorrei poter continuare a credere nei miracoli anche senza Maradona.
Gerardo Mariano Rocco di Torrepadula